Complottisti vulnerabili

A cura di Francesca Memini

Dicembre 20, 2023

cospirazionisti vulnerabili - We are Logon

Pubblichiamo un estratto del libro “Complottisti vulnerabili – Le ragioni profonde del cospirazionismo”, curato da Emiliano Loria, Stefano Iacone e Cristina Meini.
Il libro – realizzato nell’ambito del progetto AGE-IT (Italian Ageing Society – Spoke 7), finanziato dal MUR – è scaricabile gratuitamente in formato digitale dal sito dell’editore

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Oppressi dal rischio

Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come parvol che ricorre
sempre colà dove più si confida
(Dante, Paradiso, canto XXII)

Un’analisi della contemporaneità e del suo impatto sulla psiche umana non può prescindere, a più di trent’anni di distanza, dalla riflessione di Anthony Giddens. Da una prospettiva originariamente sociologica ma attenta a tutti gli strumenti culturali a sua disposizione, Giddens (1999) riconosce nella “modernità” – scelta lessicale non priva di ambiguità, dal momento che di contemporaneità si tratta – l’epoca che ha conferito straordinarie e inedite possibilità di autodeterminazione.
La storia individuale non è più scritta dalla società in cui si viene al mondo, che viceversa in epoca premoderna configurava confini difficilmente valicabili, quando non invalicabili tout court. La tradizione univa passato e futuro in una linea continua, fatta di rituali e segnata
da riti di passaggio che piegavano le storie di vita verso direzioni largamente predefinite sulla base della collocazione socio-culturale della famiglia di appartenenza, del genere o di eventuali peculiarità psicologiche. Oggi – solo in una parte pur significativa di mondo, beninteso, e senza dimenticare le forti limitazioni che continuano ovunque ad affliggere determinate categorie di persone (p.es., Fricker,2007) – disponiamo perlopiù di maggiori, spesso significativi margini di autodeterminazione. I modelli tradizionali, già di per sé meno rigidi, possono essere rifiutati: chiunque può nascere in un piccolo paese da genitori analfabeti e guadagnarsi, con lo studio, con le abilità e con la buona sorte, una visibilità socio-culturale, così come può accadere l’inverso. E in buona misura il ruolo sociale può essere frutto di una negoziazione aperta, con margini di autodeterminazione resi possibili
da istituzioni dinamiche, globali e allo stesso tempo disperse e frammentate, inserite in coordinate spazio-temporali profondamente riorganizzate rispetto al passato.
La contemporaneità ha portato anche la conoscenza ad assumere una natura ipotetica e rivedibile: il dubbio può permeare ogni forma di comunicazione e sapere, la ragione diviene ragione critica, il modello scientifico si fa strada portando con sé l’idea di provvisorietà e falsificabilità.
Se almeno a partire dall’era moderna (quella storicamente intesa, che parte con la conquista dell’America) l’essere umano non può ambire al possesso di ogni ambito dello scibile, nel mondo contemporaneo questa illusione si connota come pura assurdità – un’assurdità
che nondimeno vedremo essere drammaticamente diffusa nella società. Per orientarci tra i saperi dobbiamo necessariamente prestare fiducia alla parola degli esperti. E qui entriamo in un terreno spinoso. Perché riconoscere un esperto non sempre è impresa facile (Goldman, 2001; Brennan, 2020; Lalumera 2022).
Sappiamo che per avere informazioni corrette di chimica dobbiamo chiedere a un chimico: ma quale? A noi novizi sembra che tutti ci possano rispondere, ma non è così: il massimo esperto di strutture dei materiali e delle molecole potrebbe saperne molto poco della tossicità di un inquinante o delle emissioni di un impianto. Potremmo esaminare su quali riviste altamente specialistiche pubblica, o quali premi ha eventualmente ricevuto; ma se siamo novizi, questi dettagli ci sfuggono quasi per definizione. Se invece per ascoltare un parere esperto decidiamo di affidarci ai mass media, per esempio assistendo a un dibattito televisivo, non di rado veniamo catapultati su un ring mediatico popolato da politici e filosofi che pretendono di dissertare di virus, vaccini e curve pandemiche alla pari con scienziati esperti e meno esperti, o da epidemiologi che trattano di geopolitica, talora con un linguaggio che al neofita può sembrare preciso: ne abbiamo viste di tutte.

Eppure, una volta acclarata la difficoltà di riconoscere un vero esperto e prese tutte le precauzioni possibili, viene il momento in cui dobbiamo affidarci a qualcuno. Non possiamo farne a meno, l’autonomia totale è una chimera paralizzante. Viceversa la fiducia, ricorda Giddens in perfetta consonanza con riconosciute ricerche di psicologia dello sviluppo che più avanti menzioneremo, è condizione necessaria per la creatività: la fiducia apre a situazioni ed esperienze nuove, stimolando la curiosità e la ricerca di soluzioni originali, nella
certezza di essere protetti di fronte a situazioni rischiose.

E nondimeno, per le considerazioni fatte sopra la fiducia non può che accompagnarsi al rischio, in un reciproco ruolo di complementarietà: la fiducia genera il rischio di affidarci alla persona inadeguata a prestare aiuto o alla cattiva fonte informativa; ma il rischio, oggettivo o solo percepito, impone di concedere fiducia, perché da soli non riusciamo ad affrontarlo. Anche il rischio è quindi una cifra della modernità, intrinsecamente legato alla libertà di scelta, ma non solo: eventi distanti hanno effettivamente un impatto sulle nostre vite indipendentemente dalla nostra volontà, accrescendo ipso facto il rischio che qualcosa vada storto. E la percezione di rischio generalizzato è ampliata dalla libera comunicazione che la contemporaneità giustamente rivendica: mass media tradizionali e social media sono una cassa di risonanza per grida di allarme talora fondate e talora prive fondamento, laddove si cada vittima di eccessivi allarmismi o di bislacche teorie del complotto. A maggior ragione, diviene quindi necessario potenziare il pensiero critico imparando a vagliare le fonti, essere “maggiormente accurati”, come propongono Gordon Pennycook e David G. Rand (2021). Una maggiore accuratezza si rifletterebbe, secondo i due studiosi, sia in una maggiore assunzione di responsabilità tra ciò che si condivide sui social e ciò che si crede veramente (il che più delle volte non coincide affatto), sia su una più attenta valutazione dei contenuti informativi.
Il richiamo alla fiducia come atteggiamento necessario va anch’esso chiarito: anche la fiducia va modulata, e in campo epistemico non deve diventare creduloneria. Pur trattandosi di una reazione spesso inconscia, spontanea e immediata (si veda anche Todorov et al. 2015), capace di alleviare l’ansia dell’autonoma decisione, nell’infosfera (Floridi 2020) globalizzata entro cui si collocano le nostre vite la fiducia estrema facilmente conduce a errori di valutazione non privi di conseguenze negative per sé e per gli altri. Pericoli reali o avvertiti come tali, così come situazioni complesse nelle quali difficilmente ci si raccapezza anche affidandosi agli esperti: le diverse “aperture” della contemporaneità comportano intrinsecamente un costo emotivo che la fiducia può e deve solo in parte mitigare: l’ansia.

Uno stato emotivo che è sì largamente riconducibile all’incertezza e alle minacce oggettive,
locali o globali che siano (pandemia, riscaldamento globale, guerra,inflazione e recessione), ma che ci pare ancor più intimamente legato alla sfera soggettiva.
L’apertura che segna tutta la contemporaneità non può non ripercuotersi con veemenza nel funzionamento dei meccanismi psicologici più profondi, fino all’identificazione di sé: se vivere il nostro tempo significa esperire potenzialità, occasioni e rischio, l’individuo che si ritrova a chiedersi “Come voglio/devo/posso vivere?” esperisce il bisogno di continua e non predeterminabile ridefinizione. È un individuo segnato da una profonda vulnerabilità (Marraffa e Meini 2022; 2024; McAdams 1996).

Quando la pandemia da Covid-19 cominciò, in maniera del tutto repentina e imprevista, a sconvolgere le nostre esistenze costringendoci a cambiare radicalmente comportamenti e stili di vita, fummo travolti da un magma di emozioni che per lungo tempo continuò a segnare i nostri giorni. Molti equilibri si ruppero, e non si trattò soltanto di abitudini sacrificate in nome dell’isolamento e del distanziamento: era un permanente stato di incertezza a predominare, dacché tutto o quasi fu messo in discussione, dalla vita lavorativa alla vita affettiva.
Quanti risparmi sono andati in fumo? Quanti progetti di vita sono stati interrotti dai lockdown prolungati, dagli effetti del virus, da altre patologie esacerbate dalla mancata assistenza, dalla scomparsa delle persone care e dalle morti viste nei telegiornali?
Le reazioni emotive hanno avuto molteplice natura; e ciò si è riflesso in maniera significativa sui comportamenti di prevenzione adottati, sul mantenimento della salute e sul benessere psicofisico. A tal riguardo, un interessante studio longitudinale (Zion et al. 2022) svolto negli Stati Uniti ha raccolto in sei mesi più di cinquemila interviste, nelle quali, oltre alle domande sugli stili di vita, le abitudini e i comportamenti sociali, si chiedeva un parere sugli effetti della
crisi pandemica. Le risposte sono state categorizzate in tre tipologie di atteggiamenti mentali (mindset) non mutuamente esclusive: “la pandemia è una catastrofe”, “la pandemia è gestibile”, “la pandemia può essere un’opportunità”. Ebbene, chi ha visto la pandemia solo
come una catastrofe ha tendenzialmente adottato comportamenti non salutari, ha avuto meno rapporti sociali, una minore qualità di vita e condizioni psico-fisiche peggiori rispetto a chi ha saputo pensare alla pandemia in termini più complessi, come un evento che poteva
offrire persino qualche inedita opportunità.
Il modo in cui affrontiamo l’incertezza, elemento imprescindibile nelle situazioni complesse, ha quindi significative ricadute sulla nostra vita. Per gestire psicologicamente complessità e incertezza tendiamo ad adottare modalità di pensiero semplificatrici, che forniscono rapidamente spiegazioni di comodo su come funzionano le cose nel mondo (Kahneman e Tversky 1979; Kahneman, 2011). Tali spiegazioni, che non sono necessariamente del tutto giuste o del tutto sbagliate, servono a organizzare le informazioni che riceviamo, donando significati e risposte a ciò che vediamo e fornendo giustificazioni alle nostre azioni (Molden e Dweck 2006).

Talvolta, però, questo processo interpretativo non ha freni, e si finisce per attribuire ai fenomeni significati strampalati e, paradossalmente, non meno complessi rispetto alla realtà dei fatti. La pandemia sotto questo aspetto è stata esemplare. Alla stessa velocità del virus e
delle sue varianti, si aggirano tuttora nel mondo (soprattutto attraverso il web) le più assurde storie sul coronavirus, sulla sua natura, sulla propagazione e la prevenzione: non si è più di fronte a una mera serie di assunzioni semplificatrici di un evento complesso e sconvolgente,
ma a una reazione che a sua volta costruisce non meno complessi castelli in aria, voli pindarici senza (per ora) fondamento. È così che si genera un fenomeno sociale già esaminato con attenzione dalle scienze sociali, e che la pandemia ha fatto letteralmente divampare.
Stiamo parlando del cospirazionismo

Di che cosa tratta questo libro
Il libro indaga la mentalità cospirazionista da una prospettiva ancora non sufficientemente studiata, che integra aspetti cognitivi, emotivi e motivazionali in un quadro complesso della persona e della sua sfera relazionale. Da tale quadro emerge il ruolo causale di alcune caratteristiche, quali una certa fragilità o la ricerca di una piena identità attraverso l’appartenenza a un gruppo di pari. Se l’affiliazione è un bisogno primario dell’essere umano, che deve trovare negli altri riconoscimento e accettazione delle proprie decisioni autonome, nelle persone propense ad abbracciare teorie cospirazioniste la ricerca di affiliazione tende a divenire la condizione per surrogare una insicurezza ontologica che mina l’autonomia delle motivazioni, delle scelte epistemiche e dei comportamenti.
Che cosa comporta abbracciare una teoria cospirazionista? Perché il cospirazionista, indipendentemente dal livello di istruzione e dalla professione, cerca di difendere e diffondere le sue ipotesi, nonostante palesi contraddizioni talvolta molto fantasiose?
A nostro avviso, una risposta completa al bisogno di comprendere e reagire al fenomeno chiede di investigare le ragioni del suo fascino in termini di soddisfazione e ricompensa emotiva.
Strutturato in 5 capitoli, il libro mette subito a fuoco la definizione di “cospirazionismo” in termini di strategie difensive e di rifugio compensativo da ansie e frustrazioni sociali. Scandagliando alcune forme di cospirazionismo politico e scientifico, il volume analizza il milieu epistemico contemporaneo, contaminato da pervasivi meccanismi di disinformazione.

Nella parte centrale del volume, attingendo ai dati delle scienze psicologiche, illustriamo la ricetta perfetta perché si inneschi e si autoalimenti la mentalità cospirazionista. Mancanza di fiducia e protezione specialmente nell’infanzia, durante le primarie relazioni parentali,aprono la strada a quei sentimenti di insicurezza esistenziale e ansia generalizzata in età adolescenziale e adulta che sono il primo ingrediente, in grado perfino di distorcere i meccanismi di ragionamento e acquisizione delle informazioni.

La curvatura narcisistica dello sviluppo della personalità, unita a una condizione di isolamento e frustrazione sociale, sono i due successivi ingredienti, mentre il quarto ingrediente è il bisogno di riconoscimento sociale, una spinta motivazionale incontenibile. Quest’ultimo elemento dà conto di una peculiarità indispensabile perché si possa parlare di cospirazionismo: il gruppo, la comunità. È all’interno del gruppo, della piccola o grande comunità, reale o virtuale che sia, che le dinamiche cospirazionistiche prendono le sembianze cui assistiamo in questi tempi. Gruppi che, favoriti da dinamiche naturali ma esacerbate da internet, facilmente si polarizzano ed esercitano in tutti una potente forza attrattiva, che pare inesorabile per determinati profili di personalità.
Inediti casi di sedute terapeutiche, infine, offrono l’occasione per definire ulteriormente la complessità del fenomeno cospirazionista e distinguerlo nettamente, nonostante alcune chiare analogie, da forme di delirio individuale e collettivo.
Lungo tutto il testo si noterà un linguaggio talora eterogeneo: è frutto dell’appartenenza degli autori a diversi ambiti di ricerca, filosofico-analitico e psicologico-clinico di impianto sistemico. Abbiamo cercato di limare alcune punte, ma quel che resta ci pare aggiunga
valore all’analisi, che è, essa stessa, eterogenea. I temi trattati incrociano il riferimento a processi cognitivi di alto livello con il riferimento a processi più di base – motivazionali ed emotivi –, così come ad ambiti di studio che vanno dalla filosofia della psicologia alla psicologia cognitiva, clinica e sociale, passando per la infant research. Confidiamo
che il libro possa – un po’ disordinatamente come accade nell’incontro di linguaggi diversi – rendere conto della complessità che già è connaturata alla psiche umana, ma che viene ulteriormente esacerbata dall’incontro tra la persona e il gruppo.

 

 

Francesca Memini

Laureata in filosofia, mi occupo di progettazione e comunicazione strategica in ambito medico, collaborando con agenzie di comunicazione, università, associazioni di pazienti e società scientifiche. Ho conseguito un master in Medicina Narrativa presso Istud Sanità e ho svolto attività di formazione per i professionisti della salute. Ho fondato lo studio Con cura per la progettazione di attività di comunicazione di salute e digital health.

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