Se dovessimo indicare una tappa fondamentale nell’evoluzione della percezione dei social network da parte dell’opinione pubblica, dovremmo sicuramente fare un passo indietro al 2018. L’anno è quello del caso “Cambridge Analytica”, la società specializzata nella raccolta dati che ha riunito (più o meno illegalmente) le informazioni relative a oltre 50 milioni di utenti su Facebook. A scatenare il panico diffuso non è stata solo la raccolta delle informazioni personali, ma, soprattutto, il loro uso potenziale, dal momento che Cambridge Analytica si era assicurata importanti fondi da parte del Partito Repubblicano con la promessa di creare “strumenti in grado di identificare le personalità degli elettori americani e di influenzarne il comportamento” come riporta il New York Times in un articolo del marzo 2018.
Forse per la prima volta ci si è resi conto che i propri dati personali, forniti volontariamente e a cuor leggero sui social network, meritavano attenzione e ci si è iniziati a domandare seriamente quale fosse l’influenza delle piattaforme sul mondo al di fuori di esse, non senza un certo catastrofismo. È innegabile che Internet, più in generale, sia un mezzo organizzativo potentissimo, con avvenimenti che vanno dalla Primavera Araba al tristemente noto assalto del Congresso Nazionale di Brasilia da parte dei sostenitori di Bolsonaro, ma è doveroso distinguere tra i casi in cui è davvero “tutta colpa dei social network” e quelli in cui, semplicemente, ancora non si sa.
Da un punto di vista più commerciale, qual è invece l’impatto delle piattaforme su interi settori, come quello musicale o dell’editoria? Attraverso i meme e i trend, gli utenti riescono a promuovere libri (su TikTok #booktok ha milioni di visualizzazioni), oppure a determinare le canzoni che andranno virali.
Non senza alcune vicende ironiche e iconiche. È il caso di Gianni Celeste, il cantante neomelodico che si è trovato in cima alle classifiche trentaquattro anni dopo l’uscita di «Tu Comm’a Mme», meglio conosciuta dagli utenti dei social come “Povero Gabbiano”. «Non mi sarei mai aspettato un risultato del genere», ha detto al Corriere lo stesso artista. Come dargli torto!
Ciò che succede online, quindi, può davvero cambiare le sorti di quello che ci circonda là fuori? Forse la domanda è mal posta: secondo il filosofo Floridi infatti la distinzione tra online e offline non ha più senso: meglio utilizzare il neologismo onlife, visto che lo smartphone è una vera e propria continuazione delle nostre dita e la query di Google una continuazione delle nostre curiosità.
Proviamo, allora, a porla in modo diverso: le informazioni che troviamo sui social network possono influenzarci tanto da modificare i nostri comportamenti? Nelle prossime righe cercheremo insieme di scoprire un po’ meglio ciò che ci dice a proposito la ricerca scientifica.
Echo chambers: algoritmo e bias cognitivi
Quanto le piattaforme di social networking condizionino i nostri comportamenti al di fuori di essi, è una questione del tutto aperta, anche in ambito accademico. La domanda è talmente ampia che, per cercare di dare una risposta, Jonathan Haidt, Professore della Stern School of Business e Chris Bail, Professore della Duke e Direttore del “Polarization Lab”, la suddividono in sette ulteriori casi più specifici. Ovvero, i social media:
- Rendono le persone più arrabbiate o polarizzate affettivamente?
- Creano le echo chambers?
- Amplificano i post più emotivi, infiammatori o falsi?
- Aumentano la probabilità di violenza?
- Consentono ai governi stranieri di accrescere le disfunzioni politiche negli Stati Uniti e in altre democrazie?
- Diminuiscono la fiducia nei confronti delle Istituzioni?
- Rafforzano i movimenti populisti?
Partiamo dalle echo chambers, cosa intendiamo con questo termine? Le echo chambers sono casse di risonanza sui social network in cui il pensiero di ogni utente si amplifica, appunto, come in una cassa, trovando riscontro in quello degli altri individui e finendo per estremizzarsi.
Ad esempio, pensa ai primi post che visualizzi aprendo la tua bacheca su Facebook o Instagram: saranno probabilmente quelli degli amici più stretti, oppure immagini e video coerenti con i tuoi gusti. Per quanto alla fine il tuo Feed dei consigliati, ci scommetto, sarà sempre pieno di meme e animaletti, la mia bacheca potrebbe essere piena di gufi e la tua di gattini, oppure la mia di meme di Anacleto della Spada nella Roccia e la tua di meme di The Office (se non si fosse capito, mi piacciono i gufi).
Se si trattasse solo di questo, non ci sarebbero nemmeno troppi problemi, ma la stessa cosa accade per quanto riguarda le nostre convinzioni sociali, politiche ed economiche. Secondo l’ex Amministratore dell’Ufficio per le informazioni e gli affari normativi di Obama, Cass Sunstein, quando un gruppo di persone che la pensano allo stesso modo è chiamato a prendere una decisione, è molto probabile che finisca per estremizzare le proprie scelte. Una delle ragioni che incide sulla “Polarizzazione di gruppo” è cercare di piacere agli altri, conformarsi e omologarsi per sentirsi accettati dal proprio gruppo di riferimento. Proprio per questo la permanenza dentro una echo chamber potrebbe avere effetti dannosi nella radicalizzazione delle opinioni. Inoltre, le casse di risonanza sono state definite “tribù arrabbiate” perché al loro interno lo stato d’animo non è proprio rilassato e tranquillo, come ha mostrato lo studio “Emotional dynamics in the age of misinformation” e come sicuramente avrai notato aprendo una qualsiasi sezione di commenti di un post su un argomento controverso, per esempio contro le scie chimiche. E’ facile sui social network scagliarsi contro chi la pensa diversamente e non appartiene, quindi, alla nostra “tribù digitale”.
Di chi è colpa, però, se nascono le echo chambers? A crearle è un misto di fattori sia umani (come il confirmation bias) sia tecnologici. Tra questi ultimi, potrebbe giocare un ruolo importante l’algoritmo di raccomandazione del social network, il quale cerca di trattenere il più possibile l’utente sulla piattaforma proponendo contenuti che confermano la nostra opinione e i nostri interessi, perché è proprio vero in questo caso che “il tempo è denaro”.
L’algoritmo non è il solo responsabile, il modo in cui le piattaforme raggiungono il loro obiettivo (compiacerci per trattenerci all’interno della piattaforma stessa) sembra andare a rinforzare alcuni meccanismi tipicamente umani come il confirmation bias. I bias cognitivi sono “scorciatoie” che utilizza la nostra mente per risparmiare energie e fatica, infatti, il pregiudizio di conferma ci risparmia la sforzo che costerebbe assimilare tutte le informazioni che ci circondano ogni giorno, privilegiando quelle che confermano le nostre opinioni.
Le echo chambers si formano perché mettiamo like ai gattini, invece che ai gufi, ci iscriviamo a gruppi di gattini, ai nostri amici piacciono i gattini, e perché l’algoritmo insiste a proporci gattini (invece che gufi!). Le echo chamber limitano ciò che vediamo ad una gamma ristretta di contenuti, un fatto potenzialmente pericoloso se pensiamo che: “per formare le proprie convinzioni, gli individui devono incontrare informazioni che a volte contraddicono le loro opinioni preesistenti”, scrivono il professore alla Stanford Matthew Gentzkow e l’economista di Harvard Jesse M. Shapiro.
Polarizzazione: un rischio per la democrazia?
Arriviamo, quindi, al secondo nodo: garantire l’esposizione a punti di vista diversi è un obiettivo centrale della politica dei media, ma ciò a cui assistiamo oggi è un progressivo aumento della polarizzazione. Le conseguenze sono evidenziate da diversi studi e si possono riassumere in una frase contenuta nel testo “Polarization and the Global Crisis of Democracy“: “le società polarizzate rendono le democrazie vulnerabili”. Se la comunità scientifica è per lo più concorde nell’ammettere l’esistenza di echo chambers sui social network, riguardo all’origine della polarizzazione la ricerca è molto divisa. Secondo parte del mondo accademico la polarizzazione potrebbe essere una conseguenza delle crisi interne della democrazia, oppure, la polarizzazione potrebbe esserne causa e contribuire infine alla crisi dei processi democratici.
In ogni caso, la polarizzazione è un elemento distintivo del dibattito pubblico moderno e coinvolge non solo i social network, ma anche la radicalizzazione delle posizioni politiche, l’intensificarsi dei toni nei dibattiti televisivi e, in generale, la crescente prevalenza di un linguaggio ostile ed emotivo al posto del sano scambio di opinioni.
No vax contro pro vax, negazionisti del cambiamento climatico contro scienziati, politici contro opinionisti (e Parenzo contro tutti): la discussione divide secondo la logica tribale del “Noi” contro “Loro”, diventando affettiva, ovvero incentrata sull’emotività. Infine, conclude la filosofa Elizabeth S. Anderson, non sono solo le questioni politiche a dividerci, ma “numerose scelte di vita altrimenti politicamente irrilevanti”.
Detta in altro modo: essendo sempre più facile rinchiudersi nella propria piccola infallibile verità, tenetevi stretto chi, pur non pensandola allo stesso modo, vi lascia almeno il beneficio del dubbio.
In conclusione, le dinamiche di Internet, ci rivelano molto su chi siamo davvero. Resta aperta una domanda: i social network sono in grado di cambiare le magnifiche sorti e progressive dell’umanità? Beh, dipende.
In un panorama digitale complesso e in continuo mutamento, i social network si inseriscono come tecnologie non neutrali, perché sono stati creati per massimizzare il profitto di privati, ma hanno conseguenze che interessano la collettività. Ed è proprio questa linea sottile tra interesse collettivo e profitto economico che andrà approfondita in futuro, ragionando sulle policy di moderazione e cercando di definire interventi concreti per limitare la formazione di echo chambers e la polarizzazione. Per quanto oggi alcune delle dinamiche delineate in queste righe siano piuttosto note, resta ancora molto da scoprire dei fattori che influenzano il nostro comportamento online. Nel frattempo, allora, è meglio continuare a studiare.
Per approfondire
- https://www.nytimes.com/2018/03/17/us/politics/cambridge-analytica-trump-campaign.html
- Floridi, L. (2015). The onlife manifesto: Being human in a hyperconnected era (p. 264). Springer Nature.
- Valensise, C. M., Cinelli, M., Nadini, M., Galeazzi, A., Peruzzi, A., Etta, G., … & Quattrociocchi, W. (2021). Lack of evidence for correlation between COVID-19 infodemic and vaccine acceptance. arXiv preprint arXiv:2107.07946
- Social media and political dysfunction: A collaborative review. Unpublished manuscript, New York University. First posted: November 2, 2021. Last updated: August 28, 2023
- Sunstein, C. R. (2000). Deliberative trouble? Why groups go to extremes. The Yale Law Journal, 110(1), 71-119.
- Zollo, F., Novak, P. K., Del Vicario, M., Bessi, A., Mozetič, I., Scala, A., … & Quattrociocchi, W. (2015). Emotional dynamics in the age of misinformation. Plos One, 10(9), e0138740.
- Matthew Gentzkow, Jesse M. Shapiro, Ideological Segregation Online and Offline , The Quarterly Journal of Economics, Volume 126, Issue 4, November 2011, Pages 1799–1839, https://doi.org/10.1093/qje/qjr044
- McCoy, J., Rahman, T., & Somer, M. (2018). Polarization and the Global Crisis of Democracy: Common Patterns, Dynamics, and Pernicious Consequences for Democratic Polities. American Behavioral Scientist, 62(1), 16-42. https://doi.org/10.1177/0002764218759576
- Somer, M., & McCoy, J. (2018). Déjà vu? Polarization and Endangered Democracies in the 21st Century. American Behavioral Scientist, 62(1), 3-15. https://doi.org/10.1177/0002764218760371
- Anderson, E. (2021). Epistemic bubbles and authoritarian politics. Political epistemology, 11-30.