Perché non capisco i meme? Parte III

A cura di Francesca Memini

Febbraio 16, 2024

Perché non capisco i meme? Parte 3 - Logon odv

Nel precedente post di questa serie, introducendo il concetto di meme ironici abbiamo iniziato a trovare una risposta a questa domanda: non capisci i meme perché sono fatti proprio perché tu, proprio tu, non li capisca. È una questione di appartenenze…

La sottocultura dei meme

I meme sono il complesso vernacolo di una sottocultura, che usa questo linguaggio come collante e anche come “test d’ingresso” per gli esterni. Layer di ironia e nonsense sono gli ingredienti per farti cadere in trappola e svelare che non sei parte del gruppo (e prenderti per il culo proprio per questo).
Noam Gal, Zohar Kampf e Limor Shifman del dipartimento di comunicazione e giornalismo dell’Università di Gerusalemme lo spiegano così:

Il maggiore potenziale di fallimento interpretativo nella sfera digitale in rete può essere utilizzato per la creazione di legami di gruppo o per l’esclusione di coloro che non riescono a decodificare correttamente il messaggio ironico. In questi contesti, l’uso dell’ironia diventa un test comunicativo complesso: Le qualità polisemiche dei messaggi ironici rappresentano una sfida per l’interprete, che spesso ha bisogno di un’ampia conoscenza contestuale del gruppo per capire la battuta (o almeno la chiave non seria). In caso di fallimento, il test si trasforma in una “trappola” comunicativa per gli estranei, tracciando i confini del gruppo attraverso lo scherno condiviso e la dolorosa presa di coscienza in caso di comprensione tardiva.

Che cosa si intende per sottocultura o subcultura? Senza addentrarci troppo in una questione ampiamente dibattuta dalla sociologia, possiamo definirla come un gruppo di persone che si distingue dalla più ampia cultura di cui fa parte per una sua identità coerente e internamente omogenea, caratterizzata da pratiche, valori, conoscenze, gusti ed estetiche. Sono (state) subculture quella punk, hip hop, emo, dark, ecc.
Secondo Lolli (autore de La guerra dei meme) :

La dinamica fondamentale di ogni gruppo umano che si riconosca in un’identità comune è la produzione, simbolica e reale, di un ‘dentro’ e un ‘fuori’. Nelle sottoculture musicali, le coordinate del dentro e del fuori esprimono due zone macroscopiche: l’underground e il mainstream. L’opposizione tra i due ambiti non si configura come un lineare odio reciproco: il mainstream non è, in realtà, ostile all’underground. Peggio: ne è attratto, lo vuole sedurre e normalizzare. La lotta della sottocultura combacia con questa tensione a rimanere autentici, fedeli a sé stessi e ai propri principi, contro le spinte centrifughe del mondo di fuori che di quella musica, di quegli stili, di quelle attitudini, vuole fare mercato, banalizzandoli e tradendoli. Questo movimento è esattamente quello che agisce nella sottocultura dei memers, anch’essa divisa in due zone, identificate con tipi umani: l’autist e il normie.

Autist e normie? Ve lo spieghiamo dopo.
Per ora fermiamoci a questa dinamica, che ci aiuta a capire la nascita dei meme ironici e l’evoluzione verso layer di ironia sempre più complessi e indistricabili.
Il passaggio dei meme da una piattaforma all’altra, a spazi di socializzazione diversi e sempre meno riservati, viene percepito come un progressivo passaggio dei meme da linguaggio di una sottocultura al mainstream, un processo di “normalizzazione”. Kevin Pauliks ricercatore dell’Università di Marburg descrive questo processo:

Questa “mainstreamizzazione” dei meme è avvenuta con grande disappunto degli utenti di piattaforme come 4chan, Reddit e Tumblr, da cui proviene la maggior parte dei meme. Gli autoproclamati “signori dei meme” di queste piattaforme cercano di preservare la loro sottocultura dagli estranei, che stigmatizzano come “normies”, che magari guardano e condividono i meme mainstream, ma che in realtà non capiscono la pratica del memare, cioè come creare e diffondere i meme in modo corretto. Questa distinzione viene attuata come parte di uno specifico lavoro di confine per mantenere l’esclusività della cultura dei meme.

Per spiegare l’appropriazione dei meme e il passaggio a canali di diffusione sempre più mainstream dal punto di vista dei memers, un’immagine vale più di 100 parole

Meme Life Cycle Charts

Meme Life Cycle Charts: dal contentuto originale (OC) alla sitcom da qui

Literacy e Discorsi

Secondo Ntouvlis e Geenen, ricercatori in linguistica e cultural studies che hanno dedicato un’etnografia digitale ai meme ironici, la distinzione che mantiene coesa la subcultura dei memers è una particolare forma di literacy o alfabetizzazione che si acquisisce attraverso pratiche di socializzazione all’interno degli spazi frequentati dalla community. Riprendendo la definizione del sociolinguista James Paul Gee, l’ alfabetizzazione non è solo la capacità di leggere e scrivere, non è la conoscenza di un linguaggio inteso come la sua grammatica o il suo lessico, ma la capacità di utilizzare quello specifico linguaggio nel modo giusto, all’interno di un contesto sociale specifico. Quali sono le parole giuste da utilizzare quando in università da studente parli con un professore? Qual è il tono di voce da adottare in un colloquio di lavoro? Quali sono le cose da non dire mai a un primo appuntamento? Come mi rivolgo da medico a un paziente? Si tratta di un tipo di competenza che diamo per scontato fino al momento in cui ci rendiamo conto di aver fatto una gaffe mostruosa, anche se magari lo capiamo solo dalle reazioni degli altri. E così che si impara, si chiama apprendimento situato.
Gee utilizza il termine Discorso (con la D maiuscola) per indicare il modo in cui un linguaggio si combina con altre pratiche sociali e comportamenti dotati di significato (valori e prospettive, modi di pensare, abbigliamento, abitudini, cibo ecc) all’interno di uno specifico gruppo sociale:

“Un Discorso è una sorta di ‘kit d’identità’ completo di un costume appropriato e di istruzioni su come agire, parlare e spesso scrivere, in modo da assumere un ruolo particolare che gli altri riconosceranno”.

Tutti noi possediamo e utilizziamo correttamente diversi tipi di Discorso, gestendo la nostra identità sociale a seconda del contesto in cui ci troviamo. Non tutti però siamo parte di quella sottocultura che è rappresentata dalla comunità dei memers , il cui “kit di identità” richiede la capacità di utilizzare strumenti digitali, la conoscenza dell’estetica dei meme, delle pratiche e della storia della comunità, delle informazioni che circolano e la capacità di maneggiare l’ironia. Tutte cose che si imparano solo frequentando i posti giusti e le persone giuste.

Possiamo capire meglio come funzionano i meme ironici e riflessivi distinguendo due tipi di di Discorso, così come sono visti dalla comunità dei memers: il Discorso dei normie – persone considerate convenzionali e mainstream, giudicate quindi, cringe e incompetenti nell’uso dei meme, oltre che noiose – e il Discorso degli “artisti dei meme”, che possiedono una conoscenza superiore e costantemente aggiornata. Questi memers riconoscono il Discorso dei normies e se ne prendono gioco, ridendo di ciò che fa ridere i normies, imitandoli e creando un ulteriore livello di ibridazione nei loro meme, l’ibridazione dei Discorsi.

Saper maneggiare i diversi livelli di Discorso, con la competenza di distinguerli, riconoscere quelli ritenuti superati e anche di remixarli in chiave ironica, diventa una literacy che immediatamente permette di identificare l’appartenenza al gruppo.  Attraverso questo tipo di literacy si riconosce anche l’esperienza di socializzazione condivisa, la comune storia di vita online, la volontà condivisa di distinguersi dal mainstream, l’importanza attribuita alla dimensione fatica della comunicazione, come strumento ulteriore per stringere le relazioni del gruppo. Si fanno meme ironici non tanto per veicolare un’informazione, visto che tendenzialmente non hanno senso, ma per mantenere calda la relazione con il resto del gruppo, performando la propria abilità nella gestione del Discorso del gruppo.

Normies e Autist

Per concludere, abbiamo più o meno spiegato chi sono i normies. Anche all’interno della sottocultura esperta possono poi essere distinti ulteriori categorie.
Riprendiamo per esempio la distinzione presentata nel si sito The philosophes’s meme:

normie e autist TPM - Logon ODV

I normie e i casual sono caratterizzati da una mancanza di competenza di una sottocultura. L’entusiasmo e l’impegno nella pratica memetica permette il passaggio da normie a casual, ma non basta per passare al ruolo di ironist o autist, perché questi possiedono una competenza superiore fondata sull’esperienza. L’autist è agli antipodi del normie, la sua anormalità estrema, metaforicamente patologica è considerata un valore, le sue caratteristiche sono l’essere iperfocalizzato sulla cultura memetica e le sue abilità superiori nel padroneggiarla.

Questa volta è stato tutto un po’ più complicato? Ma stiamo iniziando a capire perché non capiamo i meme: perché siamo in un certo senso analfabeti. Data la velocità con cui cambia il linguaggio digitale (in particolare quello della comunità dei memers), mantenersi aggiornati è faticosissimo: se non siamo proprio fissati con questa cosa, prima o poi qualche meme che non capiamo capita anche ai migliori.
Per molti è già buono non scrivere più i post di Facebook in terza persona (vi ricordate?).

C’è anche un altro motivo per cui i meme non si capiscono: spesso non hanno senso. Il nonsense sarà il tema della prossima puntata.

Per approfondire

 

Francesca Memini

Laureata in filosofia, mi occupo di progettazione e comunicazione strategica in ambito medico, collaborando con agenzie di comunicazione, università, associazioni di pazienti e società scientifiche. Ho conseguito un master in Medicina Narrativa presso Istud Sanità e ho svolto attività di formazione per i professionisti della salute. Ho fondato lo studio Con cura per la progettazione di attività di comunicazione di salute e digital health.

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